Scriveva nel 1884 il grande romanziere portoghese Eça de Queiroz:
“I miei romanzi in fondo sono francesi, come io quasi in tutto sono francese – eccetto per un certo sottofondo di tristezza lirica, che è una caratteristica tipicamente portoghese, una passione smodata per il fado, e ovviamente un amore sincero per il baccalà con cipolle”
Eça, che era un cosmopolita e un fine conoscitore della cultura europea dell’epoca, si prende bonariamente gioco dei luoghi comuni sul suo Paese associando in una sola frase la saudade, il fado e il baccalà come tre simboli della portoghesità. Tuttavia, colpisce nel segno: difficile trovare un portoghese che non enumeri fra i suoi piatti preferiti una delle innumerevoli ricette a base di Gadus morhua (a proposito, se ne enumerano più di 300 – la credenza popolare è che ve ne siano 365, una per ogni giorno dell’anno).
La storia della pesca al merluzzo da parte dei portoghesi è antica almeno quanto il Portogallo. Già nel 1353 il re Dom Pedro I firmava un accordo con il suo omologo Eduardo II d’Inghilterra per consentire ai pescatori di Porto e Lisbona di pescare in acque britanniche. Nel corso dei secoli il baccalà, la “carne dei poveri”, ha offerto sostentamento alle classi più umili che avevano limitato accesso ad altre fonti di proteine. La cucina povera, tramandandosi di generazione in generazione, si è nel tempo arricchita di nuovi ingredienti, ricette e varianti.
Oggi il baccalà si trova tanto sulla tavola del ricco quanto su quella del povero, dagli snack rapidi come il bolinho alle ricette più elaborate come il bacalhau à Bras.