São Jorge

Benché sia un santo relativamente nuovo per il Portogallo (si pensa che il suo culto sia stato introdotto nel 1147 da soldati inglesi, che a loro volta lo avevano preso dai genovesi), San Giorgio seppe rapidamente scalare le gerarchie fino a condividere con il “vecchio” San Giacomo / Santiago il rango di santo patrono della nazione, che occupa tuttora. Questo grazie alla sua fama di santo guerriero – una qualità decisamente utile all’epoca delle guerre contro i Mori. Per i soldati portoghesi dal medioevo in avanti, il grido “São Jorge!” era il segnale della carica.

Benché non ci sia alcuna prova della sua esistenza, la leggenda narra che San Giorgio fosse un soldato romano, martirizzato sotto Diocleziano per la sua fede cristiana.

Il carattere bellicoso e coraggioso e il florilegio di leggende attribuite al santo, degne di un vero e proprio eroe da roman cavalleresco – la più celebre delle quali lo vede uccidere il drago, contribuirono a renderlo uno dei santi più popolari all’epoca della conquista del Nuovo Mondo. Ed è proprio in questa veste di guerriero e uccisore di mostri che San Giorgio viene celebrato nei culti afro-brasiliani.

Insieme agli schiavi, gli europei portarono infatti dall’Africa al Sud America anche un mondo variegato di dèi, culti e tradizioni millenarie. Siccome agli schiavi era proibito professare apertamente il proprio culto, ad ogni Orixà associarono un santo cristiano. In questo modo poterono continuare a mantenere viva la propria cultura fingendo di essersi uniformati a quella dei dominatori: Iansã, signora del vento, diventa così Santa Barbara; Iemanjá, regina del mare e madre universale, si identifica con la Madonna; Exu, tramite fra il mondo spirituale e quello materiale, è San Michele Arcangelo e così via.

San Giorgio si trova così a prestare veste e forma a due fra gli orixà più potenti e rispettati: Ogum, dio della guerra, e suo fratello Oxossi, dio della caccia.

Il tram numero 28

“I sedili del tram mi portano in regioni lontane, mi moltiplicano la vita, la realtà, tutto. Scendo dal tram esausto e sonnambulo. Ho vissuto un’intera vita”

Fernando Pessoa, il grande poeta e cantore di Lisbona, non lo dice esplicitamente, ma il tram cui fa riferimento è il numero 28, che ancora oggi ferma a pochi passi da casa sua, al 16 di Rua Coelho da Rocha.

E non solo Pessoa, ma un infinito numero di pessoas (persone) hanno provato e provano l’ebbrezza della corsa del più iconico fra i tram della capitale, fra viuzze tortuose, salite da capogiro e discese da voltastomaco, spaziosi viali fiancheggiati da sontuosi palazzi e agglomerati di case e casupole accavallate una sull’altra fra cui si aprono improvvisamente squarci di panorama a strapiombo sul Tago.

Il percorso del 28 serpeggia attraverso la città vecchia dalla collina dell’Alfama alla spianata di Prazeres toccando tutti i punti più caratteristici della capitale lusitana ed è, ovviamente, un must per chi la visita. Benché sia ormai considerato a buon diritto un’attrazione turistica, il vecchio tram resta fedele al suo spirito di servizio pubblico. Il 28 è in tutto e per tutto un tram normale, carico di studenti di ritorno da scuola e massaie con i sacchetti della spesa, che sopportano con stoica indifferenza le orde di turisti che affollano le vecchie carrozze alla ricerca della foto perfetta da postare su Instagram. Un equilibrio delicato, ma che per il momento regge (e speriamo che lo faccia ancora a lungo).

Il tram (elétrico per i lisbonesi DOC, bonde in portoghese brasiliano), in particolare il vecchio 28 di Lisbona con il suo caratteristico giallo ocra e gli arredi in legno e metallo, è il modello fondamentale cui si ispira il design del Boteco.

Bacalhau

Scriveva nel 1884 il grande romanziere portoghese Eça de Queiroz:

“I miei romanzi in fondo sono francesi, come io quasi in tutto sono francese – eccetto per un certo sottofondo di tristezza lirica, che è una caratteristica tipicamente portoghese, una passione smodata per il fado, e ovviamente un amore sincero per il baccalà con cipolle”

Eça, che era un cosmopolita e un fine conoscitore della cultura europea dell’epoca, si prende bonariamente gioco dei luoghi comuni sul suo Paese associando in una sola frase la saudade, il fado e il baccalà come tre simboli della portoghesità. Tuttavia, colpisce nel segno: difficile trovare un portoghese che non enumeri fra i suoi piatti preferiti una delle innumerevoli ricette a base di Gadus morhua (a proposito, se ne enumerano più di 300 – la credenza popolare è che ve ne siano 365, una per ogni giorno dell’anno).

La storia della pesca al merluzzo da parte dei portoghesi è antica almeno quanto il Portogallo. Già nel 1353 il re Dom Pedro I firmava un accordo con il suo omologo Eduardo II d’Inghilterra per consentire ai pescatori di Porto e Lisbona di pescare in acque britanniche. Nel corso dei secoli il baccalà, la “carne dei poveri”, ha offerto sostentamento alle classi più umili che avevano limitato accesso ad altre fonti di proteine. La cucina povera, tramandandosi di generazione in generazione, si è nel tempo arricchita di nuovi ingredienti, ricette e varianti.

Oggi il baccalà si trova tanto sulla tavola del ricco quanto su quella del povero, dagli snack rapidi come il bolinho alle ricette più elaborate come il bacalhau à Bras.

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